Teatro della Limonaia – 18 febbraio 2017 ore 21
da Lucio Annio Seneca
con Valentina Banci
traduzione ed elaborazione drammaturgica Paolo Magelli
scene Lorenzo Banci
musiche Arturo Annecchino
“Il teatro non è tra noi per sostenere la realtà, ma per rendercela insopportabile.”
Heiner Muller
Un attore non è tenuto ad amare i personaggi che è chiamato ad interpretare, eppure alcuni personaggi- assai spesso quelli che mai avremmo detto appartenerci- si insinuano in noi e faticano a lasciarci, quasi per esortarci a continuare-interpretandoli- a farli vivere.
Succede a me, con Medea.
Una occasione meravigliosa offertami due anni fa da Paolo Magelli, mio mentore e maestro, al Teatro Greco di Siracusa: un periodo bellissimo e pieno di lavoro, di ricerca, di sforzo per arrivare al debutto restituendo a Medea l’umanità di una donna ferita dall’abbandono e dal tradimento operato dal mondo maschile , votato alla brama di potere, verso un suo ideale di vita altro, culturalmente diverso, femminile, rivoluzionario, esistenziale.
Da allora Medea ha continuato ad inseguirmi e a farmi interrogare.
Perché pensare ancora a Medea, come se non fossero bastate così tante epoche e tentativi a raccontarla?
Perché da Euripide, si continua a inciampare, scontrarsi, immedesimarsi, parteggiare, viversi nella vicenda di questa donna, impastata di amore e vendetta, pervasa di passione, attraversata da voci dentro la sua testa e folgorata da un amore solo, uno, Giasone, lo straniero dall’armatura lucente come il sole che ruba il vello d’oro, che si diceva capace di guarire tutte le ferite. Il perimetro familiare diventa platea delle guerre e delle esplosioni dei rapporti umani: chi non ci ha pensato mai, almeno una volta? La Medea di Seneca non è certo un epigono della Medea euripidea, anzi. Seneca è un innovatore , anche se la sua scrittura dovrà attendere la scuola viennese di Freud ( Wilhelm Reich prima e Jacques Lacan negli anni cinquanta ), per essere riconosciuta in tutta la sua modernità. In Seneca Medea è una donna invasa dalle voci di dentro, tagliata in due. Recisa dentro il proprio io in due parti. Una parte della sua personalità è dominata dalla sua natura solare, impulsiva, delirante, caparbia, in permanente dialogo con la follia. L’altra parte della sua anima soffre invece in un paesaggio completamente opposto : quello glaciale. Impervio della luna. Un paesaggio dominato da una voce ossessivamente riflessiva , razionale, insonne, alla ricerca di una pace interiore che è impossibile raggiungere. Uccidere Giasone o Creusa, la sua nuova sposa? Uccidere i figli? O uccidere tutti e morire pazza bruciata viva nel fuoco del “ suo “ sole?
È questo il senso della proposta drammaturgia di Seneca. La nostra Medea è una donna che soffre.
Umanissima nella sua disperazione infinita. Dopo avere salvato la Grecia si ritrova straniera e messa ai margini, esule senza esilio, deformata nei rapporti personali, senza amore e senza figli in perenne dialogo con se stessa e nella contesa aperta dei suoi sentimenti.
Anche Heiner Muller- secoli dopo- interviene a raccontarla, con una forza a noi più vicina, contestualizzandola e mescolando la vitalità dell’esistenza con il sangue della politica e le degenerazioni dell’amore.
Ho chiesto a Paolo Magelli con insistenza di ripensare un soliloquio di Medea , di provare a riscrivere- e questo è solo un primo studio – il dramma per voce sola, la mia.
Perché “ Medea siamo noi “ Jaques Lacan